L’eleganza innata nel modo di vestire e di comportarsi degli Italiani sta via via sparendo. La crisi, i problemi economici, le difficoltà, stanno riducendo la fetta di popolazione che si identificava in questa immagine. Le nuove generazioni sembrano voler abbandonar lo stile, il gusto, l’eleganza a favore di un irriconoscibile blob di trasandatezza.
L’Italia è il paese dell’eleganza o dovremmo dire era? Nella vita di tutti i giorni in Italia ci si veste meglio e con gusto. La bellezza e l’eleganza, l’apparire eleganti in Italia è un valore e la gente è educata alla bellezza. Questo lo trovi nel modo di vestire ma anche nel comportamento, nello stare a tavola, nella preparazione dei piatti, nel modo di parlare. Ovviamente c’è una forte differenza tra le persone in base al ceto sociale e questo dato lo trovi più nelle grandi metropoli come il centro di Milano o di Bologna, Venezia e magari Firenze, Siena. Città dove c’è una borghesia ricca che ama vestirsi elegante e che cerca capi di abbigliamento intonati tra loro, per potersi sentire al meglio. Queste considerazioni valgono anche per città come Roma e Napoli, dove pure c’è una fetta della popolazione ben identificabile che frequenta locali di grande fascino e si veste con ricercatezza.
Sono gli stranieri a dircelo, con una sorta di ammirazione e di invidia
Recentemente in un video su Instagram lo stilista francese Jean Paul Gaultier ha detto: “In Italia c’è una educazione alla bellezza. Perché ho lavorato in Italia e devo dire che ho visto nella vita reale che la gente si veste con più gusto. Penso che venga anche dall’educazione. In generale penso che gli italiani siano educati a vedere la bellezza per tutto.”
Quando sei all’estero molti affermano di saper riconoscere a distanza un italiano dal modo in cui è vestito. Non porta abiti qualsiasi, non mette tute o canottiere, non abbina colori che uniti stridono l’uno con l’altro, non grida, non commette oscenità o atti di maleducazione mentre cammina tra la gente per la strada. È colui che si ferma a guardare le vetrine, magari un modello di moto o di auto, così come una bella ragazza che gli sta passando vicino. Se è accompagnato la donna al suo fianco è ancora più elegante di lui e sembra volare a 10 cm di altezza sull’asfalto.


Ragazze eleganti sulla panchina-Imagen de Mircea Iancu en Pixabay
Le nuove generazioni una volta rinnovavano lo stile nel solco delle precedenti
Tuttavia, come in una sorta di blob nero che avanza e che tutto ricopre, la sciatteria e la trasandatezza sta cambiando lo stile di vita e di abbigliamento di tanta parte delle giovani generazioni. Ricordo negli anni ’60 all’uscita delle scuole ragazze e ragazzi ben vestiti, con colori pastello, pantaloni gabardine, mocassini, foulard a coprire i capelli, occhiali da sole, giacche e cravatte. Tutto venne spazzato via dal ’68 e negli anni seguenti i jeans, l’eskimo e i capelli lunghi presero il sopravvento ma restava, pur nello stile della contestazione, una attenzione all’accostamento dei colori e all’apparire secondo delle divise identitarie. Venne l’epoca dei mods e dei rockers, dei paninari con i piumoni.
Gli stili di vita identificavano gruppi di appartenenza
Anche l’appartenenza politica cambiava il modo di vestire e di presentarsi in pubblico. Il nero prese il sopravvento tra i ragazzi di destra, mentre negli anni ’50 era stata la divisa degli “esistenzialisti” francesi, che in Italia erano quelli che adoravano Jacques Brel e in seguito le melodie di Luigi Tenco e Fabrizio De André. Anche la musica differenziava le comitive. Cominciarono i cantautori alla Bob Dylan, quelli che seguivano le sue orme con le ballate accompagnate da chitarra e armonica, figli dei figli dei fiori e del romanzo di Kerouac “On the Road”. La trasandatezza iniziava ad apparire come messaggio di ribellione al perfezionismo del mondo del perbenismo sociale ma non era cafoneria, non era mai del tutto inelegante.
Anche la seduzione veniva interpretata in modo diverso a seconda della generazione e del gruppo sociale
C’era un tocco di seduzione spontanea nel modo di vestire delle ragazze alla Brigitte Bardot, Françoise Hardy, Marie Laforet, uno spirito che in Italia si ritrovava in Catherine Spaak o Cristina Gaioni, Stefania Sandrelli alle quali sono seguite le varie Isabella Ferrari, Gloria Guida, Ornella Muti. La prorompente fisicità della Loren, della Lollobrigida o della Virna Lisi doveva lasciare spazio alle Lolite. Adolescenti mai cresciute. Il cinema proponeva modelli di ribellione negli atteggiamenti ma in una continua ricerca di eleganza. Nei primi anni ’60 dominava ancora il fotoromanzo con i vari Massimo Ciavarro e Franco Gasparri, modelli poi svaniti per riapparire, con altri personaggi ma le stesse storie, nelle serie tv degli anni successivi. Oggi nei serial e nelle trasmissioni tipo “Uomini e Donne” la seduzione è ridotta a degli atteggiamenti schematici: il bacio, la “esterna”, la gelosia, mentre sono spariti il corteggiamento galante, la educazione sentimentale, la emozione, l’amore. Per questo la violenza prima o poi prevale nelle relazioni.

Ragazze al parco- Imagen de Mircea Iancu en Pixabay
Che rimane di tutto ciò nelle giovani generazioni?
Rimangono i segni del successo materiale: le Supercar, le collane d’oro, gli yachts dei video degli artisti del reggaeton. Quelli che ostentano opulenza su uno sfondo di periferia urbana, con le espressioni rigidamente dialettali. Rimangono i segni di finta protesta nei pantaloni calati, rotti, lacerati. Le camicie larghe, le bluse di due taglie superiori, capelli rasati, tatuaggi su tutto il corpo, che deturpano la faccia. Non solo orecchini invasivi ma piercing sui capezzoli, nelle narici, sulle sopracciglia, ai lobi delle orecchie. Il messaggio che arriva è una sorta di autolesionismo estetico e fisico, che si traduce nel modo sciatto di vestire e nella musica ripetitiva senza sound, solo ritmo ossessivo. Suoni gutturali che non si possono memorizzare, che non emozionano ma incitano all’odio e alla violenza sul più debole. L’esatto contrario degli anni ’70, dove il messaggio era proprio l’opposto, contro il potere dominante.
Il solco tra generazioni è sempre più ampio e ormai regna la incomunicabilità
Il Festival di Sanremo, nella gestione quinquennale di Amadeus (e Fiorello), aprendosi a queste realtà rap ha aiutato la diffusione del fenomeno che però già da tempo esisteva e correva su vie parallele. Il mercato discografico, nel tentativo di controllare questa fetta di diffusione di espressioni ne alimenta la moltiplicazione. Nomi che durano una stagione, canzoni che durano qualche mese, mentre in molti tornano ad ascoltare e a chiedere eventi sulle musiche dei decenni passati. Il romanticismo è sparito, i testi sono volgari, frammentari, insulsi. La commistione maschio/femmina perde, nell’abbigliamento, le differenze. Questo viene rivendicato come esempio di libertà e parità di genere, mentre nasconde solo una paura a trovare la propria identità, paura di non averla più, di averla diluita in una sorta di caotico miscuglio di tratti somatici, che prima caratterizzavano ruoli e generi, mentre adesso sono del tutto confusi, non paritari. In questo le donne sembrano avere più chance degli uomini e capacità di conquista di nuovi traguardi. La lotta alla violenza nei rapporti le unisce in una battaglia che ha aspetti di concretezza.

Piercing-Imagen de Pexels en Pixabay
Solo la bellezza potrà salvare il mondo e per questo occorre investire nel bello e nella cultura
Tra le generazioni ora sembra esserci un solco insanabile di atteggiamenti, abbigliamento, musica, pensiero, ma la cosa drammatica è che non c’è più comunicazione, sembrano meteore lanciate in direzioni diverse e fra loro incapaci di comunicare. Dove ci porterà tutto questo? Avverto un senso di stanchezza nel pubblico che osserva come inebetito tutto quello che gli accade attorno: le guerre, le stragi, la perdita delle idealità, dei punti di riferimento. Gli scandali politici, quelli economici, ormai non lasciano indenne nessuno, neanche la Chiesa con i preti pedofili e le complicità negli scandali finanziari. Anche la raccolta dell’8×1000 si va riducendo, sembra ci sia una perdita di fiducia verso tutto e tutti, anche verso il futuro, non si va nemmeno più a votare. Ma l’Italia resta il Paese in cui tutti nel mondo, vorrebbero venire almeno una volta, resta il paese del bello e della cultura. Forse dovremmo ritrovare in questo il senso della identità nazionale, come fecero i signori del 1400 quando compresero che solo la bellezza poteva salvare le città della penisola e il Mondo.