Ven, 20 Giugno 2025

I più letti di questa settimana

Altro in questa categoria

Chef Cesare Casella: la cosa peggiore è quando dall’Italia arrivano prodotti scadenti

Il peggior danno che viene fatto non è tanto il prodotto finto ma quello scadente che arriva dall’Italia. Così il Made in Italy perde credibilità. All’estero possono esserci prodotti fatti all’italiana, a volte anche più buoni dei nostri, ma dichiaratamente locali pur se in tutto simili a quelli originali cui si ispirano.

Incontriamo Cesare Casella, chef di origini toscane, Pieve Santo Stefano (Lucca), trasferitosi a New York negli anni ’90 dove ha dato vita a diversi ristoranti italiani di grande successo, dal più famoso Coco Pazzo (con Pino Luongo), a Beppe e Maremma da solo, per poi dirigere la Salumeria Rosi e quindi lanciarsi nella produzione di salumi e prosciutto Casella’s, con i quali ha ricevuto anche premi prestigiosi.

Ha diretto la scuola di cucina italiana di New York e gestito ristoranti italiani

Nel 2006, l’ International Culinay Center, precedentemente noto come French Culinary Institute, nominò Casella primo decano degli studi italiani sia a New York che a Parma, affidandogli la direzione della branchia dell’International Culinary Center School of Italian Studies. Nella primavera del 2011, Casella ha lanciato The Italian Cooking School, un programma in cui ha condotto tour culinari in tutta Italia, promuovendo l’educazione alla cucina, agli ingredienti e alla cultura italiana, oltre a un progetto video per documentare i tour. 

Oggi guida la cucina di un Grande centro per ragazzi autistici vicino New York e ha un’azienda di salumi propria

Oggi Casella ricopre il ruolo di Capo del DNA, il Dipartimento di Nourishment Arts®, supervisiona un team di chef, nutrizionisti, terapisti, agricoltori ed educatori presso il Center for Discovery, nelle Catskills, una struttura residenziale nello stato di New York per persone autistiche. Gestisce la sua azienda Casella’s Salumi, dove produce prosciutto da maiali di razza tradizionale, fedele alle classiche ricette italiane e ai sapori della sua infanzia.

Tony Mai, Cesare Casella e Piero Selvaggio tre persone che hanno fatto la storia della cucina italiana negli Usa – foto dal sito facebook

Il contributo di Casella alla gastronomia americana è stato riconosciuto da Forbes,  Food Arts, al New York Magazine e al New York Times. È stato votato come uno dei migliori chef di New York dalla rivista Food & Wine ed è apparso in programmi di successo come “Iron Chef”, “Top Chef ” , “Best Thing I Ever Ate”, ” No Reserves” e ” After Hours con Daniel Boulud. Ha scritto diversi libri, tra cui True Tuscan, Le tecniche fondamentali della cucina italiana e Nutrire il cuore.

Carissimo Cesare Casella in poche parole cos’è il Center of Discovery dove tu lavori?

Il Centro si occupa dell’assistenza e della cura di persone di varia età con difficoltà relazionali, come per esempio ragazzi autistici. Quelli che sono da noi hanno problemi motori, per cui il 50% sta su sedie a rotelle e c’è una grossa percentuale anche di persone che non si esprimono. Quindi il Centro, negli anni, si è affermato come un luogo di specializzazione per queste malattie gravi e accoglie dalle scuole del circondario, anche quegli studenti che non riescono ade essere seguiti nei corsi ufficiali scolastici. Sono 130/140 ragazzi che vengono da 90 scuole e ora li seguiamo noi. Io dirigo la cucina, considera che si fanno 2.000 pasti al giorno e anche le 5 fattorie che abbiamo. Tra cui tre frutteti e allevamenti.  In tutto qui lavorano 1.700 dipendenti, da 25 che erano nel 1980, vivono 350 persona in 49 case, mentre io faccio avanti indietro con New York dove vive la mia famiglia. Ma siamo a un’ora e mezzo d’auto dalla città.

Ho visto che producete dell’aceto di mele?

Si, circa 3 anni fa ho iniziato una collaborazione con Andrea Bezzecchi dell’Acetaia San Giacomo e Presidente dell’Associazione dell’aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia per produrre aceto di qualità, sul modello di quello di Modena e Reggio Emilia che però viene dalle bolliture di uve di Trebbiano e Lambrusco. L’aceto balsamico tradizionale è una eccellenza del made in Italy, che noi riproponiamo qui con l’aceto di mele di alta qualità. Lo invecchiamo in queste piccole botti. Abbiamo preso dall’Italia un paio di batterie, di 40 piccole botti in tutto, per fare l’aceto. Una produzione piccola ma interessante. Il nostro Oxymela è un aceto di miele basato su una ricetta che risale all’epoca romana.  A New York ci sono diverse distillerie di whisky. Allora andiamo a prendere le botti usate dove c’è stato dentro del whisky Bourbon, Rye, Grain, Tennessee o altri e facciamo invecchiare l’aceto come si fa in Italia. Alla fine facciamo una cuvé come con lo champagne. Cerchiamo di produrre aceti di grande qualità e profumo. Una volta all’anno assaggiamo le diverse botti e scegliamo quella da imbottigliare e quella è la cuvé dei nostri aceti.

Questa attività rientra tra quelle terapeutiche coi ragazzi?

Certo, la cosa più importante è che i ragazzi partecipano alla produzione dell’aceto. Dalla potatura degli alberi di mele, a raccogliere i rami, sfoltire i fiori, spremere le mele per fare il succo, metterlo in bottiglia, apporre l’etichetta e abbiamo un dipartimento per creare attrezzature o articoli per i nostri ragazzi con problematiche per rendere possibile che svolgano queste attività. Se un ragazzo ha difficoltà con l’uso della mano realizziamo una forchetta che gli semplifichi l’uso della posata. Per esempio per le sedie a rotelle, c’è un settore specifico che si occupa di come costruire sedie adatte alle necessità di ogni singolo paziente. The Center for Discovery è oggi uno dei più importanti nel mondo per questo tipo di terapie. Collabora con Università e con Paesi stranieri.

Avete avviato collaborazioni anche con l’Italia?

Abbiamo avuto anche una collaborazione con Mons. Pennini, era un arcivescovo di Palermo che aveva la scorta perché si era messo contro i mafiosi. In Sicilia chi aveva in casa un figlio autistico lo nascondeva alla società, se ne vergognava. Allora lui ha fatto una ricerca per cercare aiuto. Siamo stati interpellati dal cardinale O’Connors per avviare questa collaborazione. Ci siamo visti più volte qui e a Palermo per vedere come aiutarli e ora c’è un corso universitario per la formazione di personale specializzato in Sicilia grazie alla nostra collaborazione.

Facciamo un passo indietro. Quando avviasti la tua avventura in America com’era la situazione per la gastronomia italiana?

Erano gli anni ’90 e non c’erano tanti ingredienti italiani come ci sono adesso. Eravamo proprio agli albori anche se c’era grande curiosità per la cucina italiana. Ricordo come un sogno bellissimo quando i primi tempi di Coco Pazzo e al ristorante venivano personaggi come Frank Sinatra, Mick Jagger, Madonna, Joe Di Maggio… per me che venivo dalle campagne lucchesi era incredibile. Sono stato 6 anni a Coco Pazzo per poi passare in proprio.

Ho dovuto importare tutto dall’Italia. I tavolini, le tovaglie, i piatti e i bicchieri, le mattonelle, per rifare una trattoria toscana a New York sul modello di quella dei miei genitori. Cercai di importare anche le chianine dall’Italia ma fu impossibile. Allora scovai una fattoria in Texas dove il presidente Johnson era riuscito a far arrivare delle chianine di cui lui si era innamorato in un viaggio in Italia. Comprai lì delle vacche chianine ma trascurai un dettaglio. Non le potevo mettere in casa a New York e non avevo una fattoria dove piazzarle. Così conobbi il Center for discovery nel 2003 e siamo diventati amici, per poi fare consulenze con loro. Finché poi sono diventato Chef fisso del loro centro.

Come hai iniziato l’attività di salumiere in proprio?

È stato quando è terminata la storia della Salumeria Rosi, che aveva due negozi uno in Amsterdam Avenue e una nella Madison Avenue. Era una salumeria che vendeva anche piatti pronti tipo ristorante. Quando me ne sono andato mi hanno dato la mia liquidazione e con quei soldi ho avviato la mia produzione di salumi. Mi sono preso del tempo per non stare nel ristorante e tentare di vivere in campagna. Poi è arrivato il Covid. Ora vediamo se riapro un ristorante…

Prodotti del Salumificio Casella’s dal suo sito facebook

Parlami un po’ di questi prodotti Casella’s?

Ho 5.000 prosciutti e molti salami a stagionare, ma l’operazione era nata per dare ai contadini la possibilità di salvare delle razze di maiale che erano in via di esteinzione. Razze che costano il doppio e il triplo di un maiale allevato in maniera intensiva. Non c’era mercato per questi maiali. Io da loro compravo solo le cosce, il resto loro lo rivendevano ad altri clienti a Chicago. Poi accade un problema e Patrick Martin, della Heritage Foods Usa, che è anche uno dei fondatori di Slow Food Usa, mi propose una partita di prosciutti per tentare di salvare dei contadini che rischiavano il fallimento e non far sparire le razze antiche di maiali americani.

Che hai fatto per aiutarli?

Decisi di comprare io le cosce invendute per fare prosciutti alla maniera italiana. Salandoli e lasciandoli appesi a temperatura controllata per 400 giorni. Una vera sfida. Misi tutto quel che avevo nell’impresa. I maiali americani hanno un sapore diverso da quelli che si allevano in Italia. Ma quelli di cui si parlava erano animali felici, che vivevano bene. Ci voleva solo del tempo per fare un ottimo prosciutto americano alla maniera italiana.

Quali sono queste razze in pericolo d’estinzione?

Le razze di cui stiamo parlando sono paragonabili a una mora romagnola o a una cinta senese. Sono maiali americani di razza storica, privi di antibiotici, allevati al pascolo con metodi tradizionali. Animali sani e felici, il meglio dell’agricoltura del vecchio mondo qui in America. Le razze sono la Berkshire, la Red Wattle dal bargiglio rosso che si pensava estinta ma nel ’70 è stata trovata una mandria selvatica in Texas e adesso ce ne sono un migliaio registrati. La Gloucestershire Old Spot, una razza britannica nota come maiale del frutteto. Hanno grandi macchie nere sul dorso e si abbuffano di frutta. Il Large Black che viene dai pascoli in Cornovaglia, Devon e Somerset in Inghilterra. Poi c’è la razza Tamworth, anch’essa minacciata di estinzione. Sono animali robusti e tranquilli, di origine irlandese. Molto apprezzati per la carne tenera. La Duroc, una razza antichissima. Ma è difficile da trovare. Ha una carne croccante e succosa specie arrosto.

Maiale Berkshire – Imagen de Iris Hamelmann en Pixabay

Come sono alimentati questi maiali?

La razza è importante ma ancora di più è importante cosa gli dai da mangiare. Tradizionalmente i prosciutti si fanno da suini pesanti allevati in spazi limitati. Perché devono crescere tutti nella stessa maniera.  Se prendi un prosciutto mio e lo paragoni ad altri della medesima figliata vedrai delle differenze.  C’è il maiale vagabondo che non si muove tanto, c’è quello che gli piace gironzolare e si va a cercare le bacche, grani, frutta, tutto quello che lo attira e avrà un fisico più magro. Il maiale non mangia erba, quando è allo stato brado cerca nella terra microorganismi che migliorano la carne. Li allevano con un menù principale e poi li lasciano liberi che si vadano a cercare quel che vogliono.

Poi a chi lo vendi?

Il 50% ai ristoranti e 50% ai negozi specializzati. Lo vendevo anche a Eataly poi però loro fecero un accordo con un consorzio di prosciutti italiani e allora non ho potuto più stare tra i loro prodotti. Per cui loro possono vendere solo prosciutti italiani fatti in Italia.

Non si può dire che il tuo prosciutto sia un prosciutto italiano?

Io non dico che è italiano, è un prosciutto americano fatto con l’esperienza e la conoscenza delle tecniche che usiamo in Italia. Non è un Prosciutto di Parma ma è più simile a un prosciutto di Simone Fracassi o del Falorni di Greve, con delle caratteristiche toscane, diverse da quelle che ci sono in America. Se paragoniamo i miei prosciutti a un Parma, vediamo che quello di Parma è abbastanza standardizzato, dolce con una quantità di grasso identica per ogni pezzo mentre il mio ha centimetri di grasso differenti, perché ogni pezzo fa storia a sé, viene da una razza diversa. Le differenze sono caratteristiche del prodotto. La nostra è una produzione più artigianale e se vai a vedere il mio prosciutto costa di più di quello di Parma, con tutto che quello è importato e sul prezzo incidono anche i dazi doganali.

In sostanza se tu usi una tecnica produttiva che in tutto uguale a quella che si usa in Italia, anche se parti da razze diverse, alla fine è questo saper fare che rende il tuo prodotto, fatto in America, del tutto simile a lo stesso prodotto italiano?

Questo lo puoi applicare a tutto, anche ai formaggi. Ormai chi fa formaggi in America è allo steso livello dei francesi e degli italiani. Dove io faccio i prosciutti i macchinari sono gli stessi che si usano in Italia, sono macchine tedesche o italiane ma sono proprio identiche. Quando usi la solita formula il prodotto viene pressappoco uguale o molto simile. Prendi Barilla, comunica la sua pasta come italiana ma il grano è americano e la produce qui. Rana ha uno stabilimento a Chicago di tortelli e tortellini che si fanno in America ma con la ricetta italiana, uguali identici, per venderli su tutto il continente americano. Alla fine è un prodotto americano ma uguale spiccicato a quello italiano. Mia madre quando viene qua mangia quei tortellini e li trova uguali a quelli che mangia a Lucca. Gran parte della pasta italiana fatta in Italia la si fa con grani canadesi o americani. Allora è meglio quella che si fa qui perché perlomeno il grano non ha dovuto viaggiare per settimane o mesi sulle navi per arrivare in Europa…

Cesare Casella – foto dal suo sito facebook

Non ha più senso fissarsi su un Made in Italy del solo prodotto, bisogna ripensare il concetto legandolo al saper fare…

Non credo che il mio prosciutto sia un italian sounding (un falso italiano). Il mio è un prosciutto americano fatto da un italiano. Un prodotto buono come altri. Poi ci sono anche gli italian sounding. Se uno compra il Parmesan del Wisconsin lo sa che è del Wisconsin perché costa poco. La cosa peggiore sai qual è? È un prodotto Made in Italy fatto male, che arriva in America ma è scadente e caro. Se vengono dall’Italia dovrebbero essere il massimo del massimo e invece no. Qui arriva il Parmigiano Rigato, sai cos’è? Quando il consorzio individua delle forme non perfette, le riga tutte intorno alla forma e quello non è più vendibile come Parmigiano Reggiano. È di seconda qualità, ma lo vendono lo stesso dentro la scatola del parmigiano come Made in Italy. Quella è una truffa. Come una pasta fatta in Turchia e venduta come italiana. Non si può pensare che il cliente americano sia un idiota. Grazie alla comunicazione, al web e così via oggi se si vuol sapere qualcosa hai la possibilità di informarti.  In America non ci sarà una grande cultura gastronomica ma sta crescendo.

Che fine ha fatto il progetto di salvaguardia delle antiche razze?

È andato benissimo e ora questi allevatori non hanno più bisogno del mio aiuto, ora li devo pregare per farmi dare delle cosce di maiale. Ma questa era la mission, e sono felice di aver contribuito a salvare le loro attività e le razze di maiale in via di estenzione.

I più letti di sempre